Il cammino sinodale invita a guardare ai nostri compagni di viaggio che nella chiesa e società sono
sulla stessa strada. Si richiede il passo dell’ascolto con cuore aperto senza pregiudizi. Se l’ascolto è
un gradino impegnativo, sicuramente non meno semplice ma certamente ambizioso è il prendere la
parola come libertà di espressione, cammino di liberazione, ricerca della verità nei modi concreti
della carità. A volte il parlare diventa un’arma potente per distruggere, diffamare, sentenziare: anche
uno strumento di libertà può diventare espressione di tirannia. Il Sinodo invita ad andare oltre: meno
fenomeni da tastiera/post e più dialoganti (metodo e finalità). Per usare le parole di Papa Francesco:
essere artigiani della pace. Di qui la terza sfida: la mia parola costruisce speranza o erige muri?
All’interno delle comunità c’è uno stile di comunicazione autentico? Cosa lo rende difficile o lo
impedisce? “Ho sentito dire – mi hanno detto” è un parlare adulto, responsabile e maturo? Siamo
informati sul nostro parlare? Il carattere profetico della chiesa si esprime nell’essere in uscita per
diventare sale e luce del mondo. Annunciare il Vangelo è azione di coraggio: sappiamo metterci in
gioco come cristiani prendendo la parola contro le schiavitù del mondo di oggi oppure il parlare è
relativo ai nostri confini? Che bella una chiesa che prende la parola per chi non può parlare! Mons.
Tonino Bello rivelava “il desiderio di una Chiesa per il mondo: non mondana, ma al servizio del
mondo. Una chiesa monda di autoreferenzialità ed estroversa, protesa, non avviluppata dentro di sé,
non in attesa di ricevere, ma di prestare soccorso; mai assopita nelle nostalgie del passato, ma accesa
di amore per l’oggi sull’esempio di Dio”